C’era una volta l’avviso di garanzia

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I fatti: l’assessore (ormai ex) all’ambiente del Comune di Roma, Paola Muraro, si è dimessa questa notte, a seguito della notifica dell’avviso di garanzia da parte della Procura di Roma. Alla Muraro i Pm romani contestano reati ambientali commessi quando ricopriva il ruolo di consulente esterno dell’azienda municipalizzata. In questo filone, l’assessore risulta indagata per la violazione del comma 4 dell’articolo 256 del Codice dell’Ambiente in tema di “gestione di rifiuti non autorizzata”).

Ebbene, prevedere quanto accaduto nelle ultime ore non era affatto esclusiva di cartomante. Sarebbe stato sufficiente conoscere il codice di procedura penale, come ben sa ogni studente di giurisprudenza al terzo o quarto anno di corso.

Perché alla base del dilettantismo del Movimento 5 Stelle, tutto sommato ancora neonati della politica – quella del mettere le mani nella res pubblica e non solo quella spassionata dei banchetti e dei cortei al grido di “onestà onestà” – prima ancora di un’idea oggettivamente distorta e perversa di legalità in senso asettico e formale, riposa un’inaccettabile mancanza di consapevolezza del concetto di “avviso di garanzia”.

L’avviso di garanzia, o meglio – utilizzando la terminologia corretta – l’informazione di garanzia, è un istituto giuridico disciplinato dall’art. 369 del Codice di procedura penale. La sua funzione nell’iter delle indagini preliminari è in realtà piuttosto elementare. E’ previsto che il pubblico ministero che sta per compiere un atto garantito deve inviare all’indagato ed alla persona offesa l’informazione di garanzia. Il contenuto più importante dell’informazione di garanzia è l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia (in caso contrario ne verrà designato uno d’ufficio). Il codice impone poi di precisare, oltre alle norme di legge che si assumono violate, la data ed il luogo del fatto storico di reato, ovviamente nei limiti in cui tali dati risultano dalle indagini.

Al fine di garantire il diritto di difesa dell’indagato, l’informazione di garanzia dovrà essere inviata allo stesso in occasione del primo tra gli atti garantiti che si svolgono su iniziativa del pubblico ministero. Questo infatti prevede il successivo art. 369-bis c.p.p.

Ora, cosa succede della prassi degli Uffici Giudiziari? Molto spesso, l’informazione di garanzia viene notificata unitamente ad altro atto, come l’invito a presentarsi oppure addirittura con l’avviso di conclusione delle indagini (c.d. “415-bis”). In questi termini, l’avviso viene cumulato ad altro e si parla, in gergo, di atti equipollenti. Astrattamente parlando, dunque, un soggetto potrebbe vedersi notificare per la prima volta un avviso di conclusione indagini, senza essere venuto fino a quel momento a conoscenza dell’indagine a suo carico. No, ciò non avviene a causa di fantomatici e non meglio identificati poteri occulti, ma risponde al più elementare e sacrosanto diritto di difesa a garanzia dell’indagato stesso.

Ed udite udite, il nostro codice di rito – strumento diabolico in mano a Procure evidentemente asservite al Potere e alle lobby – cos’altro prevede? Che l’indagato o la persona offesa, ove ne facciano richiesta  (ad eccezione dei casi di cui agli art. 407 comma 2 lett. a) od ove sussistano specifiche esigenze investigative) possano addirittura fare richiesta per conoscere quanto indicato nel registro delle notizie di reato, ai sensi dell’art. 335 c.p.p.! Cose dell’altro mondo.

Richiesta che l’ex assessore ed il suo difensore avrebbe potuto formulare in qualsiasi momento, per certificare l’iscrizione a suo carico. Al contrario, hanno preferito attendere la fantomatica notifica, formale, dell’informazione di garanzia.

Ed eccoci al punto: l’informazione di garanzia, in sé e per sé, non significa assolutamente nulla! Né dal punto di vista giuridico né da quello politico. Un soggetto risulterà comunque sottoposto allo status di indagato (sempre che in seguito il Pm stesso non riterrà di avanzare in prima persona richiesta di archiviazione, per esempio). E allora quale dovrebbe il significato insito nelle dimissioni solo una volta ricevuto tale atto? Sinceramente, ne sfugge il senso.

Questi i fatti, il resto sono solo considerazioni che poggiano su elucubrazioni politiche prive di qualsiasi fondamento giuridico. Utilizzare per anni come un vero e proprio  mantra l’avviso di garanzia ha finito per creare politicamente dei veri e propri mostri, incapaci di comprendere realmente il senso delle proprie azioni e – dato a mio avviso ancora più inconcepibile – ha reso un intero partito (rectius Movimento) incapace di difendersi nel merito, politico, delle accuse mosse.

Forse, togliere la polvere del Codice di procedura potrebbe essere un primo importante passo per entrare nell’età adulta.

Nel frattempo, un abbraccio caloroso agli amici romani.

 

 

Il Movimento 5 Stelle che deve de-costruire se stesso

M5S corruzione

Non è passata una settimana dalle elezioni in Emilia-Romagna. A trionfare è stato il segretario regionale del PD Stefano Bonaccini. Trionfare per modo di dire, data l’avvilente affluenza ai seggi per questa tornata elettorale. Mai risultato fu peggiore. Lontani i fasti del 98% della regione rossa, ma se nel 2014 nella stessa Emilia-Romagna non si riesce a raggiungere il 40% degli aventi diritto, qualche riflessione sarebbe opportuna. Eppure, Matteo Renzi ha dichiarato che – tutto sommato – poco conta. Conta, a suo dire, il risultato. In altre parole, conta aver vinto. Della scarsa partecipazione e dei 700.000 elettori in meno per il PD se ne riparlerà (forse) in un altro momento. D’altra parte, a rincorrere il PD erano le altre liste candidate in regione. Tralasciando il risultato fenomenale della Lega Nord (benché in percentuale), a rimanere amareggiato è stato più che altro il Movimento 5 stelle.

Francamente non mi interessa né ho la competenza per avventurarmi in analisi post-voto, comparazioni di risultati elettorali e simili. Tuttavia, di certo non può sfuggire questa particolare fase della vita del Movimento 5 stelle. In particolare, anche gli stessi grillini sono stati danneggiati dall’indagine della magistratura denominata “Spese pazze” (indagati gli ex consiglieri pentastellati De Franceschi e Favia, uno sospeso e l’altro espulso) e in generale il diffuso ribrezzo degli elettori per la politica “arraffona”.  Il punto è proprio questo. Da quando era semplicemente Meetup, non ancora costituito come forza politica, il M5S ha fatto dei suoi temi forti l’etica della politica, dei politici, evidenziando soprattutto gli aspetti negativi di questa: la corruzione diffusa, gli enti locali male amministrati. Il Movimento ha acquisito man mano consensi contribuendo alla costruzione dell’immagine di una politica e conseguentemente dei politici come corpo omogeneo, un monolite nel quale non erano ravvisabili eccezioni. Come canta De Gregori ne “La Storia “E poi ti dicono “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”. Secondo quella vulgata tutti ugualmente erano corrotti, nessuno escluso, nessuno si salvava.

Ai tempi dei primi V-Day quest’immagine funzionava alla grande. E indubbiamente in parte è servito a introdurre al centro del dibattito pubblico alcuni temi precedentemente esclusi, quali – appunto – i costi della politica e la trasparenza amministrativa. Analogamente, è servito al Movimento per proporsi come “realtà” che parlava dei suddetti argomenti.

Il problema è iniziato a porsi (e percepirsi) nel momento in cui il M5S è diventato forza politica e si è strutturato allo scopo di entrare nelle istituzioni che fino a quel momento demonizzava dal capo ai piedi. Il passaggio non è stato indolore, ma in questa prima fase le difficoltà erano soprattutto interne, dovute all’inesperienza politica e al cercare di comprendere come funzionasse la macchina burocratico-amministrativa degli enti locali, al di là dei proclami da campagna elettorale. E’ il tipo di problematiche incontrate per esempio da Federico Pizzarotti, presentatosi alle comunali di Parma per il M5S e successivamente eletto sindaco (certamente facilitato dalle disastrose amministrazioni che avevano mal governato il comune emiliano). Quando venne eletto, Pizzarotti si scontrò suo malgrado con i limiti e i vincoli, che – a dispetto di quanto ipotizzato in precedenza – non erano poi così facilmente aggirabili. Col tempo, l’amministrazione 5stelle di Parma si è affinata ed ora si tratta di uno dei comuni più elogiati d’Italia.

Nel corso del tempo, tuttavia, gli scandali nel mondo della politica non sono cessati. Anzi. Soprattutto in Emilia-Romagna, dove a ridosso delle recenti elezioni regionali, è scoppiata l’indagine “Spese pazze” sui rimborsi folli di (quasi) tutto il consiglio regionale, da parte di (quasi) tutti i partiti. Ora, a un attento elettore non può sfuggire come in questo marasma di denaro pubblico sperperato ad uso e consumo privato e personale, le voci contestate nei capi di imputazione, abbiano un peso diametralmente diverso. Non potrebbe per esempio oggettivamente paragonarsi le centinaia d’euro spese (e rimborsate) in ristoranti da consiglieri PD/PDL a quelle spese sostenute per adempiere alla consona attività politica (consulenti, accertamenti, etc.). Purtroppo questa distinzione spetta – come detto – ad un elettore attento e consapevole, nella realtà un esemplare piuttosto raro. Nella realtà non viene colta la “sottile” differenza. Resta invece impressa l’equazione “spese pazze”=tutti ladri. Nella testa dell’elettore medio scatta il consueto meccanismo (derivante fondamentalmente da qualsivoglia cultura giuridica) in base al quale non importa che si tratti di un’indagine o di un rinvio a giudizio, a prescindere dalla sostanza delle accuse mosse. Per costoro sono già tutti giudicati e condannati. Nessuno è salvabile.

Avvisaglie di questa deriva il M5S le aveva del resto già colte. Per esempio quando, entrato poco a poco nei vari consigli comunali di tutta Italia, scoprì che in fondo la politica non era davvero tutta uguale e che l’ultimo dei consiglieri comunali di Voghera era tuttalpiù un ingenuo, ma non poteva per ciò essere paragonato al Cosentino in Parlamento. Il consigliere comunale del gettone di presenza irrisorio non poteva essere accostato ai milioni sperperati a più alti livelli. Eppure…Si sarebbe potuto distinguere da prima, ma – per ignoranza e probabilmente per ragioni utilitaristiche – ciò non è stato fatto.

Ora, però, nell’immaginario popolare fatica a rimuoversi la figura del politico comunque corrotto, dell’impossibilità di cambiare lo stato di cose, la corruzione, la mala amministrazione. Indubbiamente la responsabilità principale va ricondotta a chi ha governato finora, ma ora il Movimento 5 stelle entra in una fase – delicata – in cui si trova paradossalmente a de-costruire quella figura del politico corrotto che in un certo qual modo ha contribuito a diffondere per crescere. Ora l’impegno è doppio perché da un lato deve ridare speranza alla gente, farla tornare a votare. E contemporaneamente essere capaci a distinguere e fare distinguere: non tutti sono uguali, noi non lo siamo. Di certo, non sarà un processo immediato e indolore.

Perché Grillo dice cazzate sulla mafia

Beppe Grillo e la mafia

Durante il suo comizio a Palermo, Beppe Grillo ha dichiarato:

La mafia è stata corrotta dalla finanza, prima aveva una sua condotta morale e non scioglieva i bambini nell’acido. Non c’è differenza tra un uomo d’affari e un mafioso, fanno entrambi affari: ma il mafioso si condanna e un uomo d’affari no

Non giriamoci troppo attorno, non cerchiamo puerili giustificazioni. Beppe Grillo ha detto una cazzata stratosferica. Non mi interessano i motivi: perdita di voti? Ricerca del consenso? Calo di pressione?

E che minchia me ne fotte!

Forse Grillo era troppo impegnato a fare altro e nel corso della sua vita non ha mai avuto l’occasione di informarsi meglio nè di far visita alle cooperative che ogni giorno gestiscono i beni e i terreni confiscati alla mafia, cioè quelle persone che davvero, ogni giorno, rischiano la propria vita.

Se Grillo avesse approfondito le proprie conoscenze sulla storia della mafia (siciliana), saprebbe che ben prima dei primi patti con la finanza, la mafia uccideva senza pietà, senza remore, senza farsi alcuno scrupolo. Bernardino Verro, Placido Rizzotto, Portella della Ginestra. Solo per citare i più noti.

Non pago di ciò, Grillo persevera nelle cialtronerie:

Nelle associazioni a delinquere non ci sono ormai più delinquenti, ma imprenditori, affaristi e magistrati

Ma non mi dire!
Infatti, guarda caso, si chiamano proprio così e NON associazioni a delinquere di stampo mafioso. La differenza è tanto basilare, da non richiedere ulteriori spiegazioni. Ma è difficile credere che il leader del M5S perda tempo su un libro di storia, per conoscere la storia di Pio La Torre, men che meno su un codice di diritto penale.

Il consiglio è dunque quello di studiare o farsi consigliare più opportunamente da quegli esponenti del M5S (come la nostra concittadina Giulia Sarti) che questi temi li conoscono meglio di lui. O se proprio non ne può fare a meno: stare semplicemente zitto.

L’invito a vederlo a Portella della Ginestra o a Corleone, a lavorare assieme a noi sui campi confiscati, rimane ovviamente valido.

Patrick Wild

La Camera approva il testo del DDL sull’autoriciclaggio e il rientro di capitali

Autoriciclaggio:  la camera approva il testo

Autoriciclaggio: la Camera approva il testo

Con 250 voti favorevoli e 76 contrari, la Camera dei deputati approva il testo del DDL 2247-A: in altre parole, la proposta di legge sull’introduzione del reato di auto-riciclaggio e disposizioni per il contrasto dell’evasione fiscale.

Il “pacchetto” è orientato, infatti, ad introdurre – da una parte – norme più incisive per contrastare condotte tese all’occultamento di capitali – dall’altra strumenti c.d. “premiali” al fine di ottenere il medesimo scopo, nello specifico in materia fiscale.

Nel Disegno di legge, per esempio, si prevede la disciplina della “voluntary disclosure”, una collaborazione su base volontaria, che – come sottolinea l’OCSE – consente al soggetto che detiene attività e beni all’estero (e non li ha dichiarati) di sanare la propria posizione, mediante il pagamento di una sanzione in misura ridotta. Attraverso la collaborazione volontaria, inoltre, non saranno punibili altri reati fiscali in relazione ad obblighi dichiarativi.

In origine il principale timore riguardava proprio quest’ultimo aspetto, re-introdurre cioè un secondo scudo fiscale, al pari di quello postulato da Tremonti nel 2009. A differenza dello scudo tremontiano, tuttavia, in base al DDL sarà tutto alla luce del sole (o quasi): niente anonimato, ogni operazione dovrà risultare all’Agenzia delle Entrate.

Il nocciolo del Disegno di legge riguarda ovviamente l’introduzione del reato di auto-riciclaggio – così delineato:

“Art 648-ter.1. — (Autoriciclaggio). – Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648″

L’introduzione del reato di auto-riciclaggio andrebbe a colmare una lacuna oramai assodata: l’assenza di una qualsiasi rilevanza penale della condotta di chi “ripulisce” i profitti del suo stesso crimine (il cd. reato presupposto). In precedenza si sosteneva, infatti, che l’azione di chi occulta denaro (o altra utilità) proveniente da un precedente reato che egli stesso ha commesso, si esauriva nella continuazione (e dunque nel “godimento”) del reato presupposto. Nel corso del tempo, tuttavia, enti ed organismi comunitari e internazionali (FMI, GAFI) hanno criticato con sempre più forza questa impostazione, manifestando perplessità e auspicando pronte correzioni, al fine di armonizzare il nostro codice penale con quello di altri paesi comunitari, come Francia e Spagna.

La punibilità di colui che “auto-ricicla” avviene eliminando la c.d. clausola di riserva (prevista nei reati di riciclaggio e reimpiego), la quale ad oggi prevede esclusivamente la sanzione per il terzo che attua la condotta. Come sottolinea il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, tuttavia, il rischio non è basso: “l’aumento del rischio penale finirebbe per investire la criminalità comune, lasciando sostanzialmente inalterato quello gravante sulla criminalità organizzata, che costituisce il vero ed esclusivo obiettivo del delitto di riciclaggio”.

La soluzione che viene offerta, è di “caratterizzare il reato di auto-riciclaggio esclusivamente sulle condotte ostacolo frapposto all’individuazione dei proventi illeciti da parte dell’autore del reato presupposto, prevedendo una fattispecie dotata di autonoma rilevanza; la cornice edittale dell’auto-riciclaggio deve riflettere la minore gravità di tale reato rispetto al riciclaggio, tenendo altresì conto del regime di particolare severità che assiste la disciplina del reato continuato”.

QUI il testo del DDL sull’autoriciclaggio e rientro capitali approvato dalla Camera dei deputati