Bene confiscato alla Banda della Magliana a Cesenatico: di nuovo tutto fermo?

Colonia confiscata a Cesenatico

Qualche giorno fa mi trovavo a Cesenatico. Qui sorgeva il complesso immobiliare, una colonia, confiscato alla società Nuovo Smeraldo srl di Enrico Nicoletti, il “tesoriere” della Banda della Magliana nel 2001 e passata quindi pre-riforma sotto la provvisoria gestione dell’Agenzia del Demanio. (ne avevo già scritto nella tesi di laurea, contributo poi confluito nella parte del dossier sui beni confiscati in Romagna, assieme al Gruppo Antimafia Pio La Torre).

Dopo una serie di infruttuosi tentativi di riutilizzo (tra cui un provvisorio parcheggio estivo per auto), la resistenza da parte degli albergatori vicini ad un riutilizzo sociale del bene (notevole, eh?), fidejussioni non garantite e accordi di programma non rispettati, due anni fa tra il Comune e un’azienda edile privata, la Fincarducci s.r.l, è stato siglato un nuovo accordo di programma con un costo di intervento di euro 6 milioni e mezzo (2 milioni e mezzo dei quali finanziati dalla regione Emilia Romagna con la famosa legge 3 del 2011).

Bene, l’accordo prevede la demolizione della vecchia colonia non agibile (avvenuta già a gennaio 2014) e l’ultimazione dei lavori entro e non oltre gennaio 2016. Ad un anno quindi dal termine, non sembrano esserci segnali di svolta: non c’è nemmeno un cantiere. Il progetto di riutilizzo del bene confiscato alla mafia dovrebbe rientrare nel più ampio “città delle colonie a sud di Cesenatico”, ma data la situazione, qualche dubbio sull’avanzamento dei lavori pare legittimo.

Anche a Cesenatico, come in provincia di Rimini, pare che il cammino dei beni confiscati verso il riutilizzo sociale non conosca ancora la pace.

Patrick Wild
@Pat_Wild

Hotel sequestrati in Riviera: restituiti ai proprietari, ma scatta la sorveglianza speciale

Gli hotel sequestrati ai Lanna tornano ai proprietari

Gli hotel sequestrati ai Lanna tornano ai proprietari (da Il Nuovo Quotidiano di Rimini, 21.10.2014)

Dopo una serie di “rimpalli” tra Autorità Giudiziarie – dovuti a impugnazioni e questioni concernenti la competenza a decidere nel merito – il Tribunale di Rimini, in sede di misure di prevenzione, ha concluso per la restituzione dei beni precedentemente sequestrati alla famiglia Lanna, tra Miramare, Marebello e Riccione. In primavera era stata resa nota la vicenda, degenerata poi in una protesta inscenata dagli stessi esponenti della famiglia davanti al Tribunale riminese, con tanto di minaccia di darsi fuoco con una tanica di benzina (rilevatasi poi solo piena…d’acqua). Qualche tempo dopo, la notizia di presunte minacce ed un sequestro di persona subito dall’amministratore giudiziario nominato per gestire temporaneamente l’imponente complesso aziendale (pubblicizzato su internet menzionando una società di diritto inesistente) sito in Riviera.

Il Collegio ha tuttavia ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per emettere il provvedimento di confisca per le attività alberghiere (e una gastronomia in centro a Riccione). Contemporaneamente, però, è stata disposta la confisca per l’appartamento di proprietà di Ciro Lanna a Montecolombo (i difensori appelleranno la decisione) e – soprattutto – applicata la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per i tre fratelli, in quanto soggetti socialmente pericolosi.

La prima indagine della Guardia di Finanza denominata “MP” (misure di prevenzione) non riceve pertanto consistente conforto in sede giudiziaria. Durante il Premio Ilaria Alpi 2014, tuttavia, il Comandante provinciale Mario Venceslai ha annunciato che sotto la lente delle Fiamme Gialle si trovano numerosi altri casi che verranno vagliati uno ad uno.

Patrick Wild

Loro bruciano, noi ricostruiamo

Loro bruciano, noi ricostruiamo

Come riminesi, ospiti di una cooperativa corleonese che gestisce i terreni confiscati alla mafia e che quotidianamente deve far fronte a non pochi problemi di carattere economico (ma non solo), non possiamo non esprimere solidarietà nei confronti dei soci delle cooperative siciliane e pugliesi che in questi giorni hanno visto il frutto del loro duro lavoro andato letteralmente in fumo.

Questi gravi atti intimidatori dovrebbero zittire definitivamente chi da sempre vede nel recupero sociale dei beni confiscati alle mafie solo una perdita di tempo e denaro (recuperabile con l’eventuale vendita dei beni stessi), oltre che un progetto inutile e poco incisivo nella lotta alla mafia.

La realtà è l’esatto opposto. Aggredire i beni mafiosi, sulla strada tracciata trent’anni fa da Pio La Torre, per creare lavorodignità e giustizia, nelle terre che per troppo tempo non hanno vissuto nulla del genere, è la descrizione del percorso coerente e straordinario che stanno conducendo centinaia di cooperative ed enti nel Meridione da molti anni a questa parte.

Durante le nostre brevi, seppur intense, esperienze nei campi a Corleone e Canicattì abbiamo potuto solo scorgere le difficoltà cui queste coraggiose realtà vanno incontro. Dal dovere scalfire il muro di omertà e di accettazione sociale nei terreni dove imperava la cultura del privilegio mafioso, alla consapevolezza di dover sudare e sporcarsi le mani in terra ogni giorno perché quei terreni aridi portino i frutti e i prodotti del lavoro giusto.

Loro sono i vigliacchi, noi ci mettiamo la faccia.
Loro bruciano, noi ricostruiamo.
Patrick Wild
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