Antimafia sociale in Emilia-Romagna: una breve intervista

Qualche settimana fa, Davide e Marco mi hanno chiesto di rispondere a qualche domanda per Citizen Rimini. Oggetto della piacevole chiacchierata è stato il racconto della nostra modesta esperienza di antimafia sociale, dai primi campi sui terreni confiscati a Corleone all’attività portata avanti in Romagna con il Gruppo Antimafia Pio La Torre, dal 2008 ad oggi. Molto è stato fatto – soprattutto in anni in cui di mafie al Nord proprio non se ne parlava – ma tanto altro resta ancora da fare. Buona visione!

A Rimini c’è la mafia (senza il punto interrogativo)

Pochi giorni fa è stato pubblicato questo video, frutto del paziente lavoro di Mirco Paganelli, giovane cronista romagnolo.

Abbiamo incontrato Mirco nel marzo di quest’anno, pochi giorni prima del famoso consiglio comunale tematico di Rimini sulle mafie. In realtà l’intervista è ben più lunga di quanto viene mostrato nel video: abbiamo parlato dei fattori più importanti che ha portato la criminalità organizzata a concentrare le proprie attività su questo territorio e raccontato, in breve, la situazione attuale tra i principali settori di interesse (narcotraffico, gioco d’azzardo, comparto turistico, ludico e della ristorazione) e gli elementi di criticità e rischio.

La breve inchiesta realizzata da Mirco è ben montata ed esprime in maniera efficace e immediata i principali concetti chiave. Ottimo materiale dal quale prendere spunto per approfondire il tema.

RivieraMafieTour Storify

Purtroppo la piattaforma WordPress non consente di postarlo integralmente (misteri del mondo digitale), tuttavia cliccando sul banner qui sotto potrete accedere allo Storify che ho realizzato sui due #RivieraMafieTour nei luoghi delle mafie nella riviera romagnola. L’idea, come specificato più volte, non è nostra, bensì dell’associazione DaSud, la quale ha inaugurato questo tour particolare tra le vie della Capitale. Per quanto mi riguarda, invece, ho ideato il percorso e le tappe di questa “versione” tutta romagnola, partendo dalla zona Nord di Rimini (anche se inizialmente avrebbe dovuto sconfinare a Cesenatico, dove è – era – sito un bene confiscato alla Banda della Magliana) fino a Rimini Sud, al confine con le Marche. Il primo tour, inserito nell’ambito del weekend promosso dal Gruppo Antimafia Pio La Torre, ha visto la partecipazione di due classi di liceo/istituti superiori della provincia di Rimini, oltre che di giornalisti locali, da Bologna e del Fatto Quotidiano.
Lo storify integrato al sito potrete comunque leggerlo sui siti del Gruppo Antimafia Pio La Torre e dell’Osservatorio provinciale.
RivieraMafieTour

Clicca sull’immagine per leggere lo storify

Cento giorni a Palermo, la lotta solitaria di Carlo Alberto dalla Chiesa

Pubblicato da Gruppo Antimafia Pio La Torre

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Nell’estate del 1982, a Palermo, i morti non si contano più. Cadono uno dopo l’altro per le strade della città, mentre l’afa estiva avvolge tutta la Sicilia.

La conosce bene la mafia, il generale dalla Chiesa. L’aveva imparata ad annusare e riconoscere in altre precedenti occasioni, indagando sui più importanti boss di Cosa Nostra: Gerlando Alberti, Tommaso Buscetta, Michele Greco. Prima ancora si mette sulle tracce dell’astro nascente della mafia corleonese, Luciano Liggio, nell’ambito delle indagini sulla scomparsa del sindacalista Placido Rizzotto. Ed è qui a Corleone che dalla Chiesa, da capitano, fa la conoscenza di un altro siciliano, che prenderà il posto di Rizzotto alla Camera del lavoro di Corleone. Si chiama Pio La Torre.

Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa. Due persone che si stimano a vicenda, fin dal primo momento. Due storie che si intrecciano a quella della mafia di Corleone, ai poteri forti di Palermo, alle stanze del potere di Roma. Combattono entrambi Cosa Nostra, qualunque posizione e ruolo si trovino a ricoprire, La Torre e dalla Chiesa. La contrastano con efficacia e le mettono paura perché la conoscono fin troppo bene e hanno l’intuizione di individuare il reale centro di potere mafioso: l’accumulazione di capitali illeciti, il fiume carsico di denaro che Cosa Nostra smuove e utilizza di continuo per realizzare nuovi reati. Quel denaro sporco finisce nei depositi di banche compiacenti, nei cassetti degli amministratori locali per accaparrarsi ogni appalto possibile, nell’emergente mercato del traffico di stupefacenti, sul quale Cosa Nostra si sta affacciando a livello mondiale.

L’aria nel capoluogo siciliano si fa tesa. Nel marzo del 1982, dalla Chiesa riceve l’incarico per ritornare in Sicilia come prefetto, per contrastare la mafia. Quando arriva a Palermo non ritrova Pio La Torre per la terza volta. Quest’ultimo aveva presentato un disegno di legge per introdurre un nuovo articolo del codice penale: l’associazione a delinquere di stampo mafioso, oltre alla confisca dei proventi mafiosi. Il 30 aprile di quel terribile anno, La Torre viene assassinato a Palermo. Il nuovo prefetto si presenta ai suoi funerali, il 2 maggio.

Contro la mafia gli promettono poteri fuori dall’ordinario, ma non riceve nulla. E’ un prefetto, in una realtà come a Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì. C’è poco tempo, dalla Chiesa è inquieto e percepisce, come altri prima e dopo di lui, che si trova come in trappola, in una gabbia. In un’intervista rilasciata qualche settimana dopo al giornalista Giorgio Bocca, il nuovo prefetto di Palermo fa i nomi dei quattro Cavalieri del Lavoro di Catania (Graci, Costanzo, Rendo e Finocchiaro), additandoli come elementi significativi dei nuovi percorsi tracciati dalla mafia siciliana.

“La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fato grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.”

Appalti e denaro sporco. Il pallino di dalla Chiesa. Entra nel santuario di Cosa Nostra, ma i poteri straordinari tanto decantati da Roma continuano a non arrivare. Nel frattempo i giornali locali cominciano una campagna diffamatoria, in cui si insinua pervicacemente il dubbio sul nuovo incarico ricevuto dall’uomo che nel Nord Italia lottò contro le Brigate Rosse e il Terrorismo.

Morta speranza palermitani onesti

E’ ancora una sera d’estate, quella del 3 settembre 1982. L’auto di dalla Chiesa e della sua nuova moglie, Emmanuela Setti Carraro, sta attraversando Via Carini a Palermo, diretta ad una cena a Villa Pajno. Alle 21.15, in quella strada semi-vuota, esplodono i colpi di Kalashnikov AK-47 che abbattono e lasciano senza vita i corpi di dalla Chiesa e della moglie, all’interno dell’utilitaria di colore beige.

Il giorno successivo, sul luogo del delitto, comparirà una scritta che recita “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Dieci giorni esatti dopo, in Parlamento verrà approvata la legge Rognoni-La Torre sull’associazione a delinquere di stampo mafioso e la confisca dei beni mafiosi.

Il prefetto dei 100 giorni è stato lasciato solo, da tutti.
Eppure aveva capito tutto, prima degli altri.

Patrick Wild

Lettere da Corleone, giorno 0

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Ogni diario che si rispetti, solitamente, usa essere scritto dal primo giorno di viaggio od esperienza. E’ una consuetudine come tante altre, tutto qui. Questo tuttavia non è un viaggio od un esperienza come tante altre ed è pertanto giusto che non rispetti alla virgola questa regola aurea non scritta.

In effetti non ci troviamo ancora a destinazione. E’ il giorno 0. E lunedì si torna nella nostra seconda casa, nella nostra Corleone. Inizia l’ennesimo campo di lavoro e studio sui terreni confiscati alla mafia. Per noi del Gruppo Antimafia Pio La Torre si tratta del 5 campo in 6 anni, dal 2008 ad oggi. Per il sottoscritto è il quarto, dopo due anni di lontananza.

Per chi, come noi, proviene dal cuore della riviera romagnola, meta estiva per antonomasia (seppur in decadenza), scegliere di passare due settimane delle proprie ferie o vacanze potrebbe apparire strano, se non sciocco e paradossale. Bè, costoro non hanno tutti i torti. Si tratta di una scelta folle, folle come i soci della Cooperativa corleonese che ci ospiterà per queste due settimane. Una lucida follia, la loro, di credere per primi in una Sicilia diversa, quando ancora a Corleone non era stato catturato Bernardo “Binnu” Provenzano. Forse con queste persone ci troviamo bene proprio per questa follia che condividiamo entrambi, nonostante veniamo da terre lontane e diverse.

Sarà pure un diario atipico, ma il momento della valigia rimane sempre il più problematico.
Guanti da lavoro, scarpe da lavoro, calzini, libri da leggere durante la siesta, documenti…

Ma non è tutto: in questa valigia ci metterò e ci metteremo altro: l’esperienza acquisita in questi 4 anni di attività antimafia a Rimini, la consapevolezza del vero significato della realtà corleonese e delle sue fatiche, i ricordi delle persone che in quel posto abbiamo conosciuto e quelli delle persone che abbiamo perso, la voglia di sporcarsi nuovamente le mani con la terra, una volta appartenuta ai boss di Cosa Nostra ed ora simbolo di giustizia e lavoro.

Una volta là, questa valigia la vuoteremo e sapremo riempirla di nuovi significati. Ancora una volta.

 

 http://www.gruppoantimafiapiolatorre.it/sito/campi-antimafia/diari-dai-campi-confiscati/508-diario-da-corleone-giorno-0.html

Loro bruciano, noi ricostruiamo

Loro bruciano, noi ricostruiamo

Come riminesi, ospiti di una cooperativa corleonese che gestisce i terreni confiscati alla mafia e che quotidianamente deve far fronte a non pochi problemi di carattere economico (ma non solo), non possiamo non esprimere solidarietà nei confronti dei soci delle cooperative siciliane e pugliesi che in questi giorni hanno visto il frutto del loro duro lavoro andato letteralmente in fumo.

Questi gravi atti intimidatori dovrebbero zittire definitivamente chi da sempre vede nel recupero sociale dei beni confiscati alle mafie solo una perdita di tempo e denaro (recuperabile con l’eventuale vendita dei beni stessi), oltre che un progetto inutile e poco incisivo nella lotta alla mafia.

La realtà è l’esatto opposto. Aggredire i beni mafiosi, sulla strada tracciata trent’anni fa da Pio La Torre, per creare lavorodignità e giustizia, nelle terre che per troppo tempo non hanno vissuto nulla del genere, è la descrizione del percorso coerente e straordinario che stanno conducendo centinaia di cooperative ed enti nel Meridione da molti anni a questa parte.

Durante le nostre brevi, seppur intense, esperienze nei campi a Corleone e Canicattì abbiamo potuto solo scorgere le difficoltà cui queste coraggiose realtà vanno incontro. Dal dovere scalfire il muro di omertà e di accettazione sociale nei terreni dove imperava la cultura del privilegio mafioso, alla consapevolezza di dover sudare e sporcarsi le mani in terra ogni giorno perché quei terreni aridi portino i frutti e i prodotti del lavoro giusto.

Loro sono i vigliacchi, noi ci mettiamo la faccia.
Loro bruciano, noi ricostruiamo.
Patrick Wild
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