Sorry we missed you (di lavoro si muore)

 

sorry we missed you

 

“Tu non lavori per noi, tu lavori con noi”. Il film si apre con il colloquio di lavoro con cui il protagonista accetta la scommessa – prospettata dal responsabile del magazzino (e non datore di lavoro) – di diventare imprenditore di se stesso. La beffarda illusione di essere un lavoratore autonomo, padrone del proprio tempo e del proprio destino, e di poter scegliere se e quanto lavorare.

Ricky Turner scoprirà presto e a sue spese la cruda realtà della gig economy, dove la totale assenza di diritti e tutele per i lavoratori è il “rischio” da accollarsi a fronte dell’illusoria prospettiva di immensi profitti.

C’è una costante che domina tutto il film ed è proprio quella del tempo. Il tempo che regola il tuo orario da lavoro da lavoratore autonomo (14 ore giornaliere che consentono di aggirare le 8 da dipendente), il tempo massimo entro cui poter effettuare una consegna a casa a costo della propria incolumità e a pena di pesanti sanzioni (tanto poco tempo da dover tenere con sé una bottiglietta di plastica vuota per orinare durante il percorso), il tempo sottratto alla tua famiglia e ai tuoi affetti, una volta che diventi schiavo del tuo stesso lavoro. Questo vale anche per la moglie Abby, costretta a rinunciare alla propria auto per consentire l’acquisto del furgone del marito, dovendo per questo iniziare ad utilizzare i mezzi pubblici e compiere lunghe e numerose telefonate per assicurarsi che a casa in sua assenza sia tutto a posto.

Coincidenza vuole che il film esca nelle sale proprio nei giorni in cui il primo ministro finlandese Sanna Marin rilancia la proposta di riduzione di ridurre la settimana lavorativa e l’orario massimo di lavoro.

E questo ci riporta al titolo del film. Sorry we missed you è infatti la dicitura sul cartellino che i corrieri lasciano ai destinatari non in casa al momento della consegna, ma è anche la frase che la famiglia di Ricky potrebbe dirgli (come in realtà avviene) quando inizia ad anteporre il lavoro a tutto il resto.

“Non puoi fermarti. Mai. Ai clienti non importa se ti addormenti al volante o se prendi in pieno un autobus. Gli importa il prezzo che paga, e se l’oggetto arriva in tempo” – gli risponde il suo “responsabile”.

In effetti Ricky non si ferma mai. Non lo fa nemmeno quando dovrebbe, per curare se stesso e avere cura dei propri figli. Il tempo è denaro e non puoi prenderti una pausa, altrimenti il sistema ti divora e ti getta via, sostituendoti con un’altra persona disposta a fare lo stesso e senza protestare. Nel lavoro del nuovo millennio non contano le persone né le relazioni, ma solo che il prodotto arrivi per tempo. Riduzione dei costi e ottimizzazione dei profitti.

C’è dunque un filo lungo che lega questo film al precedente di Ken Loach (questo simpatico ultraottantenne cui spetta ancora una volta l’ingrato compito di raccontarci degnamente il mondo del lavoro nel 2020), al di là della collocazione geografica (New Castle). In Io, Daniel Blake, il protagonista cercava un modo di rimanere a galla, una volta perso il lavoro e costretto a orientarsi nella selva della burocrazia per riuscire a ottenere il sussidio. In quest’ultimo lavoro invece “scopriamo” che il lavoro evidentemente logora anche chi ce l’ha (perché deve mantenerlo a tutti i costi) e che la povertà è oggigiorno un concetto molto più sfumato di quanto si pensi. Povertà lavorativa, povertà nelle relazioni sociali e affettive (come appuriamo nelle scene dedicate alla moglie Abby, la quale assiste quotidianamente persone anziane o sole, ormai rassegnate a sentirsi come un peso per gli altri in quanto non auto-sufficienti, abbandonate dai loro stessi parenti)

Sarò di parte, ma per me è un (ennesimo) capolavoro.

p.s. nota di colore: ormai da diversi anni, il mio cinema di riferimento è quello di “casa” ossia il Supercinema di Santarcangelo di Romagna. In genere durante la settimana le sale non sono proprio sold-out (per così dire). Ieri sera pensavo sarebbe stato uguale, soprattutto con un freddo polare come quello di inizio gennaio. Invece ho constatato con piacere che pur essendo sabato sera la fila alla cassa era infinita. Peccato per i pochi giovani. Netflix e i Multiplex non ci avranno!