La pancia e il minestrone: sul reato di clandestinità

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L’uomo della strada – si sa – ragiona di pancia. Non comprende né accetta dati ed analisi oggettive: tutto viene ricondotto brutalmente ai concetti elementari di cui dispone. Ma nessuno nasce già “sazio” e quella pancia viene debitamente riempita, di volta in volta, da chi ha un preciso interesse a che la riflessione su un dato argomento divenga un grottesco minestrone nel quale far confluire argomenti che non presentano tra loro alcuna connessione logica. Il caso di scuola è quello del reato di clandestinità, bocciato ad ogni latitudine – dai giuristi italiani sino alla Corte di Giustizia europea – con argomentazioni oggettivamente condivisibili e mai smentite. Ma come detto tutto fa brodo e anche questa volta all’uomo della strada viene servito il piatto del giorno: un minestrone nel quale, mischiando con indifferenza termini e concetti assolutamente differenti (immigrati, extracomunitari, profughi, stranieri, ISIS, buonisti, terrorismo), passando per l’azzeramento del comune buon senso giuridico – passa infine l’equazione “abolizione del reato di clandestinità = favoreggiamento del terrorismo/razzismo al contrario”).

A scanso di equivoci, vale per tutto e per tutti la presa di posizione – chiarissima ed inequivocabile – dell’Unione Camere Penali italiane, da sottoscrivere perfino nelle virgole. E come cantava il buon vecchio Califano, tutto il resto è noia.

LA RAGIONEVOLEZZA CLANDESTINA

Immaginare che il dibattito, sulla abolizione del reato di immigrazione clandestina, non avrebbe risentito di posizioni ideologiche e sarebbe stato sobriamente fondato su elementi oggettivi e ragioni di diritto, si è mostrato speranza vana.

Il ricorso alle pur giustificate paure, alle emergenze e al diritto penale simbolico ha preso, come al solito, il sopravvento sulla razionalità.

Il Ministro Alfano ha dichiarato che, pur se si sono “levate voci molto autorevoli e rispettabili che affermano ragioni tecnicamente valide a sostegno di una abrogazione” del reato, sarebbe sbagliato farlo per “evitare di trasmettere all’opinione pubblica dei messaggi che sarebbero negativi per la percezione della sicurezza”.

Qualcuno ha persino demagogicamente invitato le donne parlamentari a battersi per il mantenimento della norma, per evitare il ripetersi di fatti come quelli avvenuti in Germania.

Eppure è del tutto evidente che, se i messaggi fossero stati corretti, nessuno si sarebbe preoccupato per l’abolizione di una contravvenzione che prevede la pena di un’ammenda variabile da € 5.000,00 a € 10.000,00, che nessun immigrato clandestino è mai stato e sarà mai in grado di pagare.

Se si rammentasse, poi, che questo reato non ha avuto alcun effetto deterrente sul triste e complesso fenomeno della immigrazione, e che la eventuale abolizione non eliminerebbe la possibilità di espellere i clandestini, l’opinione pubblica, che è meno disattenta di quanto si voglia far credere, comprenderebbe facilmente che cancellare questo inutile reato, ingiusto e illiberale, non minerebbe la sicurezza di nessuno.

Appare, in proposito, importante contrastare ogni tentazione di favorire nell’opinione pubblica sentimenti che confondono e sovrappongono la figura dello straniero clandestino con quella del nemico, o perché identificato come soggetto potenzialmente incline a delinquere, o ancor peggio, dopo i gravi fatti accaduti in Francia, tout court come possibile terrorista.

Come è stato ricordato anche dalla ANM, l’unico risultato conseguito dalla norma è stato quello di ingolfare gli Uffici Giudiziari, e magari rendere più difficile l’accertamento delle ben più gravi  responsabilità di coloro che organizzano ed effettuano la tratta dei clandestini.

Queste motivazioni sono razionali e condivisibili e si fondano su una visione pragmatica e economicistica che non può essere però l’unica.

Il dibattito in corso ci induce, infatti, ancora una volta a riflettere sui limiti della contesa che ogni volta si apre nel nostro Paese sulle questioni della giustizia, osservando come oramai, sia da una parte che dall’altra, si ragioni collocando il problema esclusivamente sui binari dell’utilità/inutilità mediatica o su quello dell’efficienza/inefficienza del sistema, dimenticando che non solo ragione e diritto, ma la nostra stessa Costituzione, esigono che una condotta per essere reato sia effettivamente offensiva e non rispecchi esclusivamente un astratto giudizio di valore, un rimprovero per una mera condizione soggettiva.

Ed è per questa ragione che la risposta di coloro che, al fine di superare l’obiezione della irrilevanza dell’illecito, vorrebbero innalzare il livello sanzionatorio del reato di immigrazione clandestina, dimostra come la discussione rischi di allontanarsi definitivamente da ogni criterio di proporzione e di razionalità, e come diritto penale e processo rischino di divenire esclusivamente i luoghi di una contesa irreale, giocata al rialzo, che non ha più alcun riferimento con i criteri oggettivi della Giustizia.

Ha ragione, dunque, il Ministro Orlando a sostenere la necessità di abolire il reato e bene ha fatto la Presidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Donatella Ferranti, a chiedere di non affidarsi a considerazioni demagogiche, respingendo concezioni simboliche del diritto penale, ma auspichiamo anche che la Politica riesca, in ogni occasione, ad affermare i principi ed i valori fondamentali del diritto penale espressi dalla nostra Costituzione, ed anche e soprattutto nei momenti più difficili, nella consapevolezza che la loro difesa costituisce la vera forza della democrazia e della ragione.

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